«Ciascuno si fa saggio per via d’altri: così fu in antico e così sempre.
E non è semplice affatto scovare le porte di parole mai dette»
(Bacchilide, Peani, fr. 5 Snell-Maehler)
Come si abbracciano le ombre? Il passo del Purgatorio in cui Dante incontra l’amico Casella richiama esplicitamente i versi del II e del VI libro dell’Eneide in cui Enea tenta di abbracciare prima l’ombra della moglie Creusa (Aen. II, 790-794) e poi quella del defunto padre Anchise (VI, 700-702). Ma il tema aveva almeno due precedenti omerici nell’abbraccio di Achille a Patroclo apparsogli in sogno (Il. XXIII, 99-101) e in quello di Odisseo alla madre Anticlea nell’Ade (Od. XI, 204-208). Tentativi falliti, certo; perché le ombre non si possono abbracciare e la loro stessa presenza in forma di imago testimonia lo spazio incolmabile di una distanza. Eppure il ‘fallimento’ dell’abbraccio di Dante si connota di un segno opposto rispetto ai suoi precedenti pagani: al ‘largo pianto’ di Enea corrispondono in Dante ‘maraviglia’ e ‘sorriso’; l’ombra non fugge ma, ritraendosi, invita a seguirla. Tutt’altro che imago o sogno o vento, Casella è un’anima salva: più che un bene sottratto all’affetto tra i due amici, il loro abbraccio mancato è occasione di riconoscimento (“allor conobbi chi era”) e principio di un’ulteriorità.
FV
Dante, Purg. II, 76-90
Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi, con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse ch’io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.
Rispuosemi: «Così com’io t’amai
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
però m’arresto; ma tu perché vai?»
Virgilio, Aen. II, 790-794 (trad. it. L. Canali)
Com’ebbe parlato così, mi lasciò in lagrime,
desideroso di dirle molto, e svanì nell’aria lieve.
Tre volte tentai di cingerle il collo con le braccia:
tre volte inutilmente avvinta l’immagine dileguò
tra le mani, pari ai venti leggeri, simile a un alato sogno.
Virgilio, Aen. VI, 699-702 (trad. it. L. Canali)
Così discorrendo, rigava il viso di largo pianto.
Tre volte cercò di circondargli il collo con le braccia,
tre volte invano afferrata l’immagine sfuggì dalle mani;
pari ai lievi venti, simile ad alato sogno.