Nel Concerto n. 1 in re minore op. 15 di Brahms per pianoforte orchestra le influenze schumanniane sono ben presenti: nel primo movimento un breve inciso cita infatti un tema della Terza Sinfonia di Schumann. Del resto sappiamo che fu proprio il memorabile incontro del giovane ventenne Brahms con Schumann (era l’agosto del 1853) a spingerlo a scrivere quello che diverrà dopo vari ripensamenti il suo primo concerto per pianoforte e orchestra. Nella composizione i tratti innovativi sono evidentissimi. Fece fatica il pubblico ad accoglierli nella prima esecuzione di Hannover (1859), che non suscitò entusiasmi. Il Concerto in re minore è infatti lontano dalle convenzioni del concerto per strumento solista, il pianoforte e l’orchestra sono trattati su un piano di assoluta parità: il che lo fece sembrare al primo ascolto una Sinfonia (Schumann aveva subito notato nel loro incontro di Düsseldorf che anche il modo di Brahms di suonare il pianoforte era “straordinariamente geniale”, poiché dello strumento egli ne “faceva un’orchestra di voci ora lamentose, ora esultanti di gioia. Erano Sonate o piuttosto Sinfonie velate”). Dunque, più che un Concerto, una densa e monumentale Sinfonia, ricca di temi e riprese, ora dal grandioso respiro drammatico, ora contemplativo ed etereo. Oggi questo primo Concerto ancora ci stupisce per la sua forza innovativa, e per la densità degli abbaglianti suoi pregi musicali.
Pur privo di vere e proprie cadenze (del tutto abolita quella fondamentale del primo movimento), la parte pianistica presenta notevoli difficoltà tecniche, che però non mettono mai in rilievo l’indipendenza di una esibizione meramente virtuosistica. La sostanza dell’opera rimane quella di un pensiero sinfonico integrato e ampliato dal pianoforte. Il primo abbozzo della composizione (1854) nasce per due pianoforti; poi Brahms pensa a una Sinfonia, infine decide per un concerto per pianoforte e orchestra, che termina soltanto del 1858, dopo quattro anni di prove e riprove. Nel Maestoso introduttivo cogliamo l’ombra incombente della Nona Sinfonia di Beethoven. Il primo tema è appassionato e cupo, tempestoso, seguono dolci parentesi liriche in cui il pianoforte dialoga romanticamente con l’orchestra. Nell’Adagio in re maggiore, dopo un tema introdotto dagli archi, accompagnati dai fagotti, tema poi ripreso dal corno, il pianoforte entra in modo molto dolce ed espressivo. L’Allegro non troppo finale è nella forma di Rondò. Un tema vigoroso, un po’ rude e scontroso nei suoi tratti di danza popolare, viene esposto dal pianoforte, passa all’orchestra, ritorna al pianoforte e poi si conclude in modo festevole, con un brio che offre tra l’altro all’esecutore la possibilità di mostrare ogni sorta di qualità tecniche.
GB