«Il principe era pienamente soddisfatto del mio lavoro, ero apprezzato, avevo a disposizione un’orchestra per fare esperimenti ed osservare cosa rafforzava e cosa indeboliva un effetto e quindi potevo perfezionare, cambiare, eliminare e provare soluzioni nuove; ero isolato dal mondo, non c’era nessuno intorno a me che potesse sviare o turbare il mio lavoro e così fui costretto a diventare originale». Da queste parole di Haydn il suo più che trentennale lavoro presso i principi Esterhazy è descritto come qualcosa di molto diverso dal servizio umiliante e gravoso di cui parlavano biografi e critici d’estrazione romantica, che tendevano a sottovalutare la musica di Haydn proprio perché la riferivano a un modus vivendi irriducibile allo stereotipo romantico del genio. Ma oggi non c’è nessuno che non riconosca in Haydn uno dei più straordinari geni di tutta la storia della musica, che ha segnato indelebilmente per oltre un secolo i successivi sviluppi della musica strumentale, in particolar modo nel campo della Sinfonia e del Quartetto. Non è invece nei Concerti solistici che si deve cercare la più alta espressione del suo genio: il carattere più leggero e disimpegnato del Concerto rispetto al Quartetto e alla Sinfonia e l’obbligo di dare spazio al virtuosismo dell’interprete ostacolavano la sua concezione della musica come costruzione in cui tutto si sviluppa dalle premesse iniziali in modo profondamente razionale, logico, equilibrato ed essenziale.
Questo non esclude affatto, però, che alcuni dei Concerti di Haydn siano pregevoli e pieni di inventiva, come il Concerto n. 1 in do maggiore per violoncello e orchestra, in cui sono da ammirare il virtuosismo scintillante ma non ostentato, il naturale equilibrio tra dimostrazione di bravura e interesse puramente musicale, l’assenza di quei contrasti accesi e drammatici tra solista e orchestra che saranno tipici del concerto ottocentesco.
Il “Moderato” iniziale è in bilico tra la forma del Concerto barocco (un ritornello orchestrale intervalla i diversi episodi solistici) e la forma classica, che Haydn andava proprio allora elaborando (il tema principale è leggermente elaborato a ogni ritorno). Gli interventi orchestrali sono ritmicamente scanditi, con un andamento quasi di marcia, mentre gli episodi solistici hanno un carattere più lirico e melodico. L’ “Adagio” è in forma di romanza; il tono è austero ma anche intimo, col solista accompagnato lievemente dai soli archi, mentre gli oboi e i corni tacciono. L’ “Allegro molto” conclusivo è un movimento splendido per vitalità, arguzia e inventiva, su cui la tonalità minore che appare nella parte finale dell’introduzione orchestrale stende un leggero velo d’ombra.
GB