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Hong Kong Express (1994) di Wong Kar Wai

In uno sterminato supercomplesso edilizio dell’Estremo Oriente, che sembra un labirinto e in cui non penetra la luce del sole, un mondo di luci al neon, sudore, anime solitarie che attraversano la notte per sfiorarsi e incontrarsi, forse, per poche ore, o forse non incontrarsi affatto.

Questo è lo scenario in cui Wong Kar Wai ambienta il suo poema romantico definitivo, e lo costruisce con un’estetica allo stesso tempo immediata, votata all’improvvisazione e all’imperfezione (come quelle inquadrature superesposte e confuse nei momenti più frenetici) e assieme una composizione curatissima nelle inquadrature e nei colori, che rendono questi luoghi apparentemente ordinari e di basso profilo esotici e attraenti. Come tutti gli anni in questo periodo, con il caldo afoso che fa stare svegli fino a tardi, mi metto a guardare film fino a notte fonda: e in particolare ogni anno riguardo questo pilastro del cinema indipendente degli anni ’90. Un film composto di due storie separate, due poliziotti senza nome con il cuore infranto, Takeshi Kaneshiro e il De Niro cinese Tony Leung, che si innamorano nella metropoli distopica di Hong Kong (che sembra molto un set di Blade Runner). Tutto ruota attorno a un kebabbaro frequentato dai due e in cui lavora una ragazza sognatrice (interpretata da Faye Wong), ossessionata dalla canzone California Dreamin’ dei Mamas and Papas ( ripetuta praticamente in loop per tutto il film), con l’hobby di intrufolarsi nell’appartamento dell’uomo che ama per cambiarglielo ogni giorno e stargli idealmente vicino.

 

Oltre a questo ci sono una donna misteriosa con occhiali e parrucca bionda, lattine di ananas con una scadenza simbolica (così come l’amore moderno, che è sempre a scadenza), juke box che mandano musica retrò, traffici di cocaina e hostess di volo. Un caleidoscopio di immagini e suoni che solo un film orientale poteva descrivere. E poi, nella scena più bella del film, come transizione tra le due storie, una piccola gomitata e un fugace sguardo per passare da un protagonista a un’altra: non si sono mai visti e non si incroceranno mai più, e da lì il film prende un’altra strada; però a noi resta la voglia di vedere quell’altro film in cui questa possibilità si possa concretizzare:

“Ogni giorno ci troviamo spalla a spalla con tante persone; non siamo che degli sconosciuti l’uno per l’altro, ma ognuna di queste persone può entrare o meno nella tua vita.”

-EV-

 

Dynamis – Il luogo del pensiero è un progetto culturale che nasce a Torino nel 2016 su iniziativa di un gruppo di giovani studiosi, uniti dalla fiducia nella cultura e nel pensiero come efficaci strumenti di lettura della contemporaneità.