Come si fa a raccontare un’intera città, le persone che la abitano e il suo stesso spirito? Per Robert Altman la risposta è ovvia: girare un film corale, in cui lo spettatore non si lega a un protagonista e a un unico arco narrativo, ma piuttosto viene immerso in un complesso ecosistema fitto di relazioni, di tanti “tipi” umani diversi che arrivano da luoghi differenti e hanno diversi obbiettivi. Questo genere, che ha acquisito popolarità negli ultimi anni con diverse serie televisive, era stato sperimentato da Altman già in diversi film, uno tra tutti MASH (1970), e a metà degli anni ’70 crea questo strano progetto, in parte analisi sociale, in parte satira, e con una componente musicale che è forse quella che è più rimasta impressa nell’immaginario collettivo.
La narrazione copre 5 giorni nella vita di 24 personaggi che orbitano attorno alla scena musicale country di Nashville, Tennessee; sullo sfondo vi è la campagna elettorale di un candidato populista (che rimane fuori dal film ma è sempre presente tramite messaggi, discorsi in radio e poster) e l’incombente bicentenario degli Stati Uniti. Impossibile raccontare tutto ciò che succede ai nostri personaggi, che spaziano da grandi leggende della musica country,i loro enturage e chi vorrebbe diventare una star, politici manipolatori, groupies, marines, mariti e mogli infedeli, giornalisti, e soprattutto centinaia e centinaia di volti di gente ordinaria raccolta attorno al cast principale, gente di Nashville inquadrata da Altman con gusto documentaristico che confonde la linea con il cinema di finzione.
Il cast è di eccezione, Lily Tomlin, Geraldine Chaplin, Scott Glenn, Ned Betty, Jeff Goldblum, Shelley Duvall, Keith Carradine: ogni attore riesce a creare un personaggio a tutto tondo nei pochi minuti che gli sono concessi, come se ognuno di loro fosse un protagonista. Altman orchestra il tutto in fase di sceneggiatura e di montaggio con grande scrupolo – ci si può perdere tante sono le interazioni tra i vari personaggi in ogni singola scena – e questo effetto viene realizzato con inquadrature molto ampie e lunghe, che racchiudono vari piani narrativi insieme e fanno procedere diversi strati del racconto in simultanea, tanto che può capitare che al centro della scena proceda un evento mentre agli angoli delle inquadrature vengono raccontate altre storie. Il vero traguardo è la stupenda scena finale, una formidabile sequenza che chiude tutte le storie e insieme fa entrare la Storia nel film. Ovviamente la musica gioca un ruolo fondamentale, la musica che è capace di narrare un popolo meglio di qualsiasi altra cosa; e in fondo l’obbiettivo di Nashville è proprio questo, raccontare un tempo e un luogo specifici (il cuore dell’America durante i turbolenti anni ’70) con un complesso affresco e infine riuscendo, obbiettivo ammirabile in qualsiasi forma d’arte, a cogliere lo Zeitgeist di un’epoca raccontando una storia universale
-EV-