Quando scrisse Peer Gynt, il suo poema drammatico in 5 atti, Ibsen non pensava ancora a un dramma destinato alla scena ma a un poema in versi che facesse da contraltare e da completamento al suo più recente lavoro poetico, Brand (1866). Si sentì dunque libero di immaginare scene di variabile lunghezza in un gran numero di ambienti diversi, senza curarsi troppo delle verosimiglianze, e di mescolare non soltanto le forme metriche a seconda delle situazioni e dei personaggi ma anche i più svariati generi letterari, dall’epico al lirico al drammatico.
Non sappiamo per quali motivi Ibsen abbia poi deciso di adattare il testo di Peer Gynt per il teatro. In una lettera da Dresda del 23 gennaio 1874 Ibsen chiese a Edvard Grieg, che aveva conosciuto personalmente a Roma nel 1866 e che a quell’epoca era il maggior compositore norvegese, di collaborare scrivendo le musiche di scena. A Ibsen sembrava infatti che la musica fosse un elemento essenziale e imprescindibile per una rappresentazione teatrale del Peer Gynt. Grieg, pur non essendo affatto entusiasta della proposta, accettò ugualmente, lavorando a intermittenza su quel dramma che riteneva “il meno musicale di tutti i soggetti”, “un tema terribilmente intrattabile”, e giunse a terminare la partitura nel 1875. L’opera, ridotta e potenziata soprattutto nei suoi aspetti lirico-popolari, con poche concessioni alla satira, andò in scena per la prima volta al Teatro di Christiania nel 1876, e riscosse un notevole successo.
Grieg per parte sua non fu completamente soddisfatto del proprio lavoro, soprattutto per quanto riguardava l’orchestrazione: dalle revisioni della partitura nacquero le due suites per orchestra op. 46 e op. 55 del Peer Gynt, destinate ad avere vita autonoma nel repertorio concertistico, fino a staccarsi quasi completamente dalla destinazione originaria. Esse constano ognuna di quattro brani: in tutto otto pezzi ricavati dai 26 che costituivano l’intero lavoro.
Oggi che il dramma di Ibsen ha a sua volta raggiunto una totale indipendenza dalla musica di Grieg, è per noi difficile giudicare fino a che punto, al di là della cornice storica, questa musica si armonizzi col dramma e lo valorizzi realmente.
La lettera con la prima proposta a Grieg, appare un caso raro di inconsapevolezza dell’artista nei confronti delle potenzialità della propria opera; ma ancor più singolare, a non volerla ritenere semplicemente uno stratagemma per ottenere consenso, suona quest’altra affermazione dell’autore stesso: che la musica “dovesse addolcire la pillola, così che il pubblico potesse inghiottirla”.
Addolcire perché, e in che modo? È probabile che Ibsen temesse la nuda e cruda visionarietà di tante situazioni al limite dell’assurdo, che potevano anche essere fraintese; o che lo preoccupasse la caricatura del nazionalismo norvegese presente nel testo. Fermo restando il valore poetico del dramma, alla musica di Grieg sarebbe toccato il compito di descrivere le situazioni e di illustrare i personaggi, di intensificare gli aspetti popolareschi e mistici, ironici e seri.
Ma veniamo al frammento dell’opera di Grieg che più ci interessa.
Nell’antro del re della montagna (in norvegese I Dovregubbens hall) è l’ultimo brano della suite op. 46 di Grieg, prima delle due suites sinfoniche ricavate dalle musiche di scena del Peer Gynt, poema drammatico in 5 atti di Ibsen. La suite si compone di 4 pezzi brevi (Il mattino, La morte di Aase, La danza di Anitra, e Nell’antro del re della montagna), ispirati alle magiche atmosfere dei paesaggi nordici e al folklore della terra norvegese. Peer Gynt è infatti l’affascinante protagonista di una bellissima fiaba popolare norvegese. Simboleggia la sete di conoscenza e il desiderio di libertà senza confini. Abbandona la madre Aase e vaga per il mondo in cerca di avventure e di ricchezze. Vive da vagabono sui monti, dove l’alba lo sorprende (Il mattino); poi incontra una fanciulla che lo conduce nell’antro abitato dal padre, il re della montagna (Nell’antro del re della montagna). Nel frattempo sua madre, Aase, muore (La morte di Aase) e Peer torna appena in tempo per rivederla. Lascia ancora una volta la terra di origine e giunge in Marocco (La danza di Anitra) finché, travolto dalla nostalgia, torna ai fiordi della natia Norvegia.
Il tema del brano Nell’Antro del Re della Montagna è davvero suggestivo. Comincia lento e silenzioso nei registri più bassi dell’orchestra, affidato a violoncelli, contrabbassi e fagotti. Viene poi riesposto a distanza di una quinta giusta, leggermente modificato nella melodia e nella compagine strumentale impiegata. Il resto della partitura consiste in una vorticosa intensificazione degli elementi musicali di sostegno al tema, che nel finale coinvolge anche le pulsazioni ritmiche, in un accelerando che, dopo pause e accordi interlocutori, esplode in un “urlo”.
Forse è eccessivo affermare che sia proprio la musica la voce più misteriosa e intima della coscienza di Peer, l’altro da sé a cui il suo inconscio aspira per rimanere fedele a se stesso. Certo è però che, con arcane risonanze di suoni e di voci immaginarie in lontananza, Grieg si avvicina a penetrare compiutamente l’essenza del dramma di Ibsen.