Nel 1891 Jeannette Thurber, mecenate e fondatrice del National Conservatory of Music di New York, propose ad Antonín Dvořák di trasferirsi negli Stati Uniti per dirigere quel Conservatorio. Si rivolgeva a uno dei compositori più famosi di tutta Europa. Dopo le prime perplessità Dvořák si risolse a partire, e il 17 settembre 1892 si imbarcò per l’America. Accolto con grande entusiasmo, tenne il suo primo concerto il 21 ottobre, proprio in coincidenza con il quarto centenario dello sbarco di Colombo, e tre mesi dopo iniziò a comporre la Sinfonia in mi minore detta “dal Nuovo Mondo”. È il suo primo lavoro “americano”, il suo più celebre capolavoro sinfonico, l’ultima delle sue Sinfonie, che appare permeata dalla nuova atmosfera nella quale si trova a vivere il compositore: «Mi piace molto – affermava – e si distingue in modo sostanziale dalle mie precedenti composizioni».
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Sin dalla sua prima esecuzione, avvenuta alla Carnegie Hall di New York il 16 dicembre 1893, la Sinfonia “dal Nuovo Mondo” ebbe un successo enorme e acquistò da allora una grandissima popolarità nel repertorio sinfonico. Molti vollero vedervi, equivocando, una musica piena di sentimenti patriottici, costruita su melodie della tradizione popolare nera o indoamericana. È vero che Dvořák fu molto attratto da alcune musiche americane, soprattutto dagli “spirituals” (scriveva: «le melodie dei neri d’America […] sanno essere patetiche, tenere, appassionate, malinconiche, solenni, religiose, vigorose, amabili, allegre») e dai “songs” di Stephen Collins Poster. In realtà nella sua nuova Sinfonia Dvořák non cita alcun tema “americano”. Alla vigilia della prima, dichiarava in un’intervista: «È lo spirito delle melodie negre e degli indiani d’America che mi sono sforzato di ricreare nella mia nuova Sinfonia. Non ho usato neanche una di quelle melodie. Ho semplicemente scritto dei temi caratteristici incorporando in essi le qualità della musica indiana, e usando questi temi come mio materiale li ho sviluppati servendomi di tutti i moderni mezzi del ritmo, del contrappunto e del colore orchestrale».
La partitura mostra una chiara impronta della scrittura sinfonica tedesca, soprattutto brahmsiana, una rigorosa forma classica, ma anche una concezione ciclica che le viene conferita dal ricorrere del tema principale (esposto nel primo movimento dal corno, dopo l’introduzione lenta), che affiora nei vari movimenti e nella ricapitolazione finale di tutto il materiale tematico. Il movimento più celebre della Sinfonia è il Largo, che si apre con un corale modulante degli ottoni e seguito da una nostalgica melodia del corno inglese. Questo movimento e il successivo Scherzo sono ispirati a un poemetto di Henry Longfellow: il Largo evoca i funerali della sposa dell’eroe, e lo Scherzo irrompe con tutta la sua energia percussiva in un trionfo di triangoli e timpani, richiamando una danza di pellirosse nella foresta. La Sinfonia si conclude con la trascinante apoteosi finale, l’Allegro con fuoco: nel suo sviluppo multiforme appare come l’apice dell’intera composizione, e al tempo stesso una sintesi di elementi boemi, mitteleuropei e americani fusi in una duttilissima orchestrazione.
GB