«Caro Dodik, con un fremito di emozione ti invio la partitura, la parte del violino e la registrazione preliminare della Sonata per violino. Ieri Vainberg e B. A. Cajkovskij l’hanno suonata su due pianoforti, quasi a prima vista, mentre io registravo. Ho deciso di mandarti questa registrazione, ritenendo che così ti sarà comunque più semplice studiare l’opera. Ti faccio i migliori auguri. Attendo con impazienza il tuo ritorno. Ho proprio voglia di sentire il tuo impareggiabile suono nella mia Sonata. Bacioni». Con questa affettuosa lettera spedita da Mosca e datata 22 novembre 1968 Šostakovič inviava a David Ojstrach, suo caro amico e dedicatario della Sonata, lo spartito di questa composizione molto particolare.
La natura del lavoro è stata sapientemente riassunta da Franco Pulcini, biografo del Maestro, con queste parole: «è pagina di una certa modernità, che propende per l’astratta elaborazione: oscura, aspra, diluita in ampi spazi, potrebbe sembrare persino in odore di formalismo. I toni pastorali e popolari del primo tempo, Andante, non temperano l’impressione di una musica (ora lamentosa, ora ispida) che non concede piacevolezze all’ascoltatore. L’Allegretto, tempo centrale dei tre, ha qualcosa di brutale: il pianoforte scandisce spesso sonorità sorde e secche. Il Largo conclusivo è, come il primo movimento, un tema con variazioni. Anche qui il linguaggio è spinoso e poco accattivante».
Da questa riflessione è possibile trarre la natura ‘severa’ che caratterizza la Sonata. Composizione che nulla concede alla piacevolezza sonora e alla cantabilità di maniera, la Sonata trova la sua principale ragione espressiva nella ‘durezza’ formale che si percepisce all’ascolto, nel senso di contrasto, disagio, tormento che la pervade.
In particolare, il secondo movimento (Allegretto), è concepito come una sorta di dialogo agitato tra i due solisti: «è una musica ‘cattiva’» scrive Sigrid Neef «piena di rabbia e di odio. Il tema ‘banale’ del ritornello è in seguito presentato in tutti i registri e vacilla su basi tonali incerte, somigliando a colori stridenti, come un nulla che si ritiene importante. L’interpretazione non compiace né il gusto del pubblico né un qualsivoglia ideale, estetico, soltanto la verità di una esperienza amara improntata al furore della repressione».