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Spiriti liberi

Ricorre, quest’anno, il ventennale dalla morte di Fabrizio De André, un cantautore-poeta tra i più importanti del panorama musicale italiano, di recente oggetto di riscoperta e di rinnovata passione per la sua musica.

Ribelle ed insofferente ad ogni forma di imposizione, “Faber” (così veniva soprannominato dagli amici più stretti, tra i quali Paolo Villaggio) fu condotto da giovanissimo, in forza del proprio viscerale amore per la libertà, ad abbracciare la filosofia anarchica, da lui vissuta come «la capacità di darsi delle regole prima che qualcun altro imponga le proprie», vivendo, pertanto, la libertà come forma di autoresponsabilizzazione in risposta ad ogni tentativo di prevaricazione da parte del potere.

Questa visione sociale fa da filo conduttore alla sua intera produzione discografica, che ha raggiunto il culmine con l’ultimo lavoro del 1996, Anime Salve.

Il titolo dell’opera, già evocativo di per sé, rappresenta una traslitterazione dal latino e significa “spiriti solitari” o “spiriti liberi”, e tale ambivalenza costituisce il fulcro del lavoro discografico di De André.

Nell’ottica del cantautore, infatti, la libertà risiede in prima battuta nella solitudine, intesa come attitudine ad entrare e rimanere in rapporto con sé stessi, a prescindere dall’influenza di ogni fattore esterno, per poter riconoscere il proprio Io più autentico e meno corrotto dall’influenza del potere.

Solo attraverso questo cammino – è opinione dell’artista – diviene, quindi, possibile conservare una propria irriducibilità, ossia una resistenza vittoriosa della propria identità più profonda rispetto agli schemi uniformanti dei potenti.

Emblematico, in tale senso, il brano di apertura, Prinçesa, che narra il cammino di trasformazione, interiore e fisico, di un ragazzo brasiliano, Fernandinho – uno dei tanti Fernandinho di questo mondo – che progressivamente matura la consapevolezza di come il proprio corpo maschile confligga con la propria mente femminile, costituendo una gabbia per quest’ultima. A tale maturata consapevolezza segue il cammino di trasformazione esteriore, dato dal percorso che il ragazzo intraprende per diventare donna, percorso che, una volta compiutosi, termina felicemente con la scoperta dell’amore, quello di un avvocato milanese al quale la donna dona il proprio affetto.

È proprio l’amore il leitmotiv che accompagna la ricerca della libertà, tanto individuale quanto delle piccole minoranze organizzate, tra le quali il popolo rom, di cui Fabrizio parla in Khorakhané.

Il tema è molto scomodo, costituendo quello dei nomadi un mondo non molto apprezzato nella nostra società, anche per via dei fatti di microcriminalità commessi da molti gruppi organizzati facenti parte di questa etnia.

De André cerca, quindi, di riscattare questo popolo apolide attraverso gli occhi di un bambino nomade, che gioca con innocenza in un campo tra giostre abbandonate, che fanno da riferimento ad un mondo antico nel quale i nomadi vivevano di professioni ormai obsolete e non più fonte di reddito e, quindi, di sopravvivenza economica.

Il cammino verso l’autenticità passa dunque alla Storia, o meglio alla storia del Millennio in corso di chiusura, con Anime Salve, la traccia eponima dell’album, nel quale emergono tratti distintivi propri di ogni generazione, pur nella diversità dei contesti in cui vengono a svilupparsi: è in questo modo, dunque, che il Secondo Millennio, ipostatizzato nelle forme di un narratore, parla di vittorie, fallimenti, pianti, sconfitte, riscatti, in un viaggio che durerà ancora per molto tempo, per «mille anni ancora».

Con Dolcenera e Le acciughe fanno il pallone Fabrizio richiama alla necessità di fare attenzione agli inganni del potere, che fanno scadere l’animo umano nelle più basse piccolezze, inducendolo ad agire nel modo più assurdo.

Nel primo brano, il desiderio di soddisfare i rispettivi sogni erotici induce due amanti a concentrarsi unicamente su loro stessi e sul possesso reciproco, mentre l’intera città di Genova – teatro dell’episodio – viene travolta da un’alluvione. È, questo, il tratto emblematico di come troppo spesso, purtroppo, il ripiegamento su sé stessi e l’ansia di possedere induca a dimenticarsi del prossimo, chiunque esso sia, finendo per rimanere divorati dai propri egoismi.

Nel secondo brano, invece, un pescatore invidioso della ricchezza altrui viene accecato dall’ambizione di diventare ricco per potersi sposare e, attraverso il matrimonio con una tra le tante belle passanti che camminano sul lungomare mentre lui lavora, dimostrarsi all’altezza, se non migliore, di coloro che invidia.

Non vi è amore in questi brani, ma solo ansia di possedere e di potere.

Amore e potere: è, questa, la dicotomia che anima anche i brani successivi, Disamistade e ‘Â Cúmba, che narrano rispettivamente di una faida famigliare e del desiderio di impossessarsi della bellezza di una candida colombetta (eloquente metafora del corpo femminile).

La centralità di tale contrasto è il punto di partenza da cui sviluppare l’ultimo brano, Smisurata Preghiera, una preghiera che al contempo è un inno alla vita.

Se il potere, con la propria smania di controllo e di possesso, emargina e divide tra maggioranze omologate e minoranze emarginate, l’emarginazione, attraverso l’amore, non è più una condanna, ma un’occasione di riscatto ed una possibilità di vivere la propria vita con autenticità.

E proprio in quest’ultimo brano, a fronte di maggioranze che si ergono «come una malattia» sulle rovine del mondo, sui disastri che con le loro prepotenze esse stesse producono, De André contrappone, senza spirito di rivalsa ma con un animus caratterizzato da profonda mitezza, la necessità di viaggiare «in direzione ostinata contraria», con il proprio speciale marchio di «speciale disperazione», non rinunciando mai a stare a fianco dei respinti e degli ultimi, ma anzi muovendo «tra il vomito dei respinti» ogni passo, fino agli ultimi, «per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità».

Giacomo Leopardi, un poeta come Fabrizio, morto più di un secolo prima dello chansonnier genovese, affermava che due sono i modi possibili di stare al mondo: vivere morendo o morire vivendo.

Viene da pensare che, idealmente, Faber riprenda questo testimone e, a fronte dell’esigenza di morire vivendo – perché la morte, in qualunque istante, ci trovi sempre vivi – provi a dare una propria risposta su come affrontare questa sfida senza timore: amare, fino in fondo, la propria autenticità e quella dell’altro, senza scadere nei pregiudizi dettati da dogmi di qualunque provenienza, utili solamente a controllare e uniformare le coscienze, annichilendole per la conservazione di qualcosa che, in ultima istanza, è del tutto estraneo alla natura più profonda della vita.

In direzione ostinata e contraria, fuori da questi schemi e con la mitezza di un amore che afferma la libertà e l’unicità di tutto, è possibile riscoprire un ultimo avamposto di bellezza e di autenticità.

Un richiamo ancora più attuale oggi, in un periodo storico nel quale sembriamo aver perso un po’ tutti la direzione da seguire.

Qualcosa che non deve stupire: i poeti, quelli veri, parlano per l’eternità, sapendola riconoscere nelle contingenze del loro presente.

Dynamis – Il luogo del pensiero è un progetto culturale che nasce a Torino nel 2016 su iniziativa di un gruppo di giovani studiosi, uniti dalla fiducia nella cultura e nel pensiero come efficaci strumenti di lettura della contemporaneità.