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Stanche stelle

«Ciascuno si fa saggio per via d’altri: così fu in antico e così sempre. E non è semplice 
affatto scovare le porte di parole mai dette» 
(Bacchilide, Peani, fr. 5 Snell-Maehler)



Cosa significa interrogare le stelle? Sostanzialmente, ci insegnano i poeti – e prima di loro, per associazione non certo casuale, gli indovini -, domandarsi se esse intrattengano un qualche rapporto con noi e con il nostro destino di uomini; o se il firmamento che ci sovrasta e ci incanta non sia, al contrario, il segno più spaventoso di ‘ciò-che-umano-non-è’, meraviglioso interlocutore muto e sordo con cui ogni tentativo di dialogo si traduce sempre nel più comune monologo dell’infelice.
Leopardi e Pessoa se lo sono chiesti: il primo oscillando – nella figura del pastore errante – tra il desiderio ‘antico’ di dialogare con Selene (la luna) e la consapevolezza ‘moderna’ che essa, pur tutto conoscendo, nulla gli avrebbe mai rivelato; il secondo avvertendo “una stanchezza delle cose, di tutte le cose” che avrebbe riguardato anche le stelle e il loro infaticabile brillare, fino a provare per esse una pietà che sembra paradossale rovesciamento di quella comprensione e ascolto che, di norma, era l’uomo a chiedere al cielo. Pessoa non è quindi, in fondo, così negativo: sentire il dolore delle stelle significa anche affermare – chissà se per coraggio o per paura – che esse ci sono molto più vicine di quanto crediamo.

FV

 

F. PESSOA, Ho pena delle stelle

Ho pena delle stelle
che brillano da tanto tempo,
da tanto tempo...
Ho pena delle stelle.

Non ci sarà una stanchezza
delle cose,
di tutte le cose,
come delle gambe o di un braccio?

Una stanchezza di esistere,
di essere,
solo di essere,
l'essere triste lume o un sorriso…

Non ci sarà dunque,
per le cose che sono,
non la morte, bensì
un'altra specie di fine,
o una grande ragione:
qualcosa così, come un perdono?


G. LEOPARDI, Canto notturno di  un pastore errante dell’Asia, vv. 1-2; 16-20; 61-78

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

Silenziosa luna?

[…]

Dimmi, o luna: a che vale

Al pastor la sua vita,

La vostra vita a voi? dimmi: ove tende

Questo vagar mio breve,

Il tuo corso immortale?

[…]

Pur tu, solinga, eterna peregrina,

Che sì pensosa sei, tu forse intendi,

Questo viver terreno,

Il patir nostro, il sospirar, che sia;

Che sia questo morir, questo supremo

Scolorar del sembiante,

E perir dalla terra, e venir meno

Ad ogni usata, amante compagnia.

E tu certo comprendi

Il perché delle cose, e vedi il frutto

Del mattin, della sera,

Del tacito, infinito andar del tempo.

Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore

Rida la primavera,

A chi giovi l’ardore, e che procacci

Il verno co’ suoi ghiacci.

Mille cose sai tu, mille discopri,

Che son celate al semplice pastore.

 

Dynamis – Il luogo del pensiero è un progetto culturale che nasce a Torino nel 2016 su iniziativa di un gruppo di giovani studiosi, uniti dalla fiducia nella cultura e nel pensiero come efficaci strumenti di lettura della contemporaneità.